di Marco Luppi
Era presente quel 10 maggio 2018 quando Papa Francesco arrivò a Loppiano. Marco Luppi, professore e ricercatore in Storia Contemporanea presso l’Istituto Universitario Sophia, in questo articolo approfondisce un aspetto del discorso che il pontefice, il primo a visitare una cittadella dei Focolari, rivolse ai presenti.
Il pontificato di Papa Francesco, iniziato il 13 marzo 2013, ha concluso la sua parabola concreta con i funerali svoltisi nella mattinata di sabato 26 aprile 2025. Poco più di dodici anni. Un tempo storico segnato da avvenimenti epocali come la pandemia; da un’instabilità politico-militare e sociale crescente; dall’avvento dell’intelligenza artificiale, con tutte le sue avvincenti novità e le sue domande etiche. Un periodo caratterizzato anche dal carisma e dalla forte impronta pastorale di un pontefice che ha voluto aprire la Chiesa al dialogo col mondo, cominciando da sé stesso: un linguaggio semplice ma incisivo, una scelta preferenziale per i poveri e gli emarginati, un’apertura rinnovata verso le questioni più vicine ai problemi delle persone, per mezzo di un impulso sinodale che, in questi tempi, ha trovato nuovo slancio e nuova attuazione, a molti livelli.
Un pontefice che ha visto nell’educazione un formidabile mezzo «per far maturare una nuova solidarietà universale e una società più accogliente». Tanto da spingerlo, il 12 settembre 2019, a proporre a tutti un Patto Educativo Globale, affinché l’educazione potesse generare pace, giustizia e condivisione tra i popoli: «Mai come ora, c’è bisogno di unire gli sforzi in un’ampia alleanza educativa per formare persone mature, capaci di superare frammentazioni e contrapposizioni e ricostruire il tessuto di relazioni per un’umanità più fraterna».
È un tema che ha toccato anche il 10 maggio 2018, nella cittadella di Loppiano. Primo pontefice, a spingersi fin sopra le colline del Valdarno, rispondendo alla domanda di uno studente dell’Istituto Universitario Sophia, sottolineò il valore del “patto formativo” che fa di Loppiano una “città-scuola”.
Nel discorso che ci rivolse, suggerì di dare nuovo slancio ai centri e ai percorsi di formazione qui presenti, «aprendoli su più vasti orizzonti e proiettandoli sulle frontiere». Per far questo, il patto formativo della città risultava essere essenziale. Cioè, un’alleanza educativa tra tutti gli attori coinvolti: educatori, famiglie, studenti, la comunità; non basato su norme astratte ma su relazioni, fiducia, dialogo e, soprattutto, prossimità: «La base e la chiave di tutto sia il “patto formativo”, che è alla base di ognuno di questi percorsi e che ha nella prossimità e nel dialogo il suo metodo privilegiato».
Questa frase era il culmine di alcuni concetti semplici e profondi, in cui Papa Francesco riconosceva e valorizzava importanti strumenti educativi attuati o attuabili a Loppiano. Ad esempio, la sinodalità come stile comunitario e formativo, dove l’educazione non è unidirezionale ma nasce da un cammino condiviso nel quale tutti sono in ascolto reciproco, alla scuola di Gesù unico Maestro. O il fatto che la missione educativa, per essere autentica, deve includere e partire dagli ultimi, dando centralità alle periferie: educare significa non chiudersi ma rischiare, aprirsi alle “frontiere”, affrontare le sfide culturali, sociali e spirituali del nostro tempo. Perché l’educazione è missione, non conservazione, è dialogo a 360 gradi, senza paure.
Poi, arrivò il suggerimento a «educarsi a esercitare insieme i tre linguaggi: della testa, del cuore e delle mani». L’educazione integrale, sintetizzata in una formula molto efficace, in grado di spiegare le necessità insite nei sistemi educativi (e non solo) del mondo di oggi e di domani. E spiegò: «L’educazione deve toccare la testa, il cuore e le mani. Educare a pensare bene, non solo a imparare concetti, ma a pensare bene; educare a sentire bene; educare a fare bene. In modo che questi tre linguaggi siano interconnessi: che tu pensi quello che senti e fai, tu senti quello che pensi e fai, tu fai quello che senti e pensi, in unità. Questo è educare». La triade proposta (testa, cuore, mani) ha richiamato l’esigenza di considerare la dignità della persona umana secondo un protagonismo che sia capace di pensiero critico, empatia e azione concreta. Si tratta, quindi, di un’educazione poliedrica e incarnata, che coinvolge tutta la vita: Papa Bergoglio ha sempre insistito molto sul fatto che l’educazione non può essere ridotta a un fatto puramente tecnico o utilitaristico (cioè la formazione di “buoni lavoratori” o di “bravi professionisti”), ma deve essere l’impulso ad aiutare ogni persona a scoprire e sviluppare la propria vocazione umana profonda: essere costruttori di fraternità, custodi del creato, artigiani di pace. Questi alcuni dei lasciti di un pontificato che ha conosciuto anche a Loppiano uno dei suoi tanti momenti luminosi.