Alla fine della vita poter dire: “ho sempre amato”.

«C’è vita cristiana e vita cristiana – scriveva Chiara Lubich, poco dopo la morte di Renata Borlone -. In lei, un po’ come nei santi, era presente una dimensione particolare della vita cristiana, oserei dire una dimensione mistica, una dimensione tale che era la sua persone, il suo essere, il suo silenzio, il suo sorriso che operavano più delle sue parole. Renata ha amato. Alla fine della sua vita poteva dire: “Ho sempre amato”».  

«Quante volte i santi ci sono passati accanto? Ce ne siamo resi conto? Ho visto diventare modelli di vita evangelica persone più giovani di me, ho vissuto il loro tempo, respirato la stessa aria e mi chiedo: perché loro sì e io no?». Queste parole di mons. Mario Meini, vescovo della diocesi di Fiesole, nel cui territoriofa parte la cittadella, esprimono bene i sentimenti della folla di persone che il 27 febbraio 2011 aveva raggiunto Loppiano, in occasione della chiusura della fase diocesana del processo di beatificazione della serva di Dio Renata Borlone. E chiunque l’aveva conosciuta sapeva che Renata si sarebbe stupita per tanta attenzione, lei che sempre si metteva all’ultimo posto e riteneva l’altro migliore di sé.