Operazione “Loppiano”

17 Feb 2016 | Pionieri

Ma tutta sta roba, quant’è costata? C’è poco da fare, la domanda ti viene spontanea appena arrivi su, e sbuchi dall’ultimo tornante nell’altopiano di San Vito.

La domanda che hai dentro fin dal primo momento in cui hai messo piede in questi cento ettari di terra, ti viene fuori sparata. «Ma i soldi – scusate l’indelicatezza, e a parte il fatto che ciascuno di voi si mantiene col proprio lavoro – i soldi per tutte queste costruzioni, dico, di dove vi son piovuti e di dove vi piovono?». La risposta non ha reticenza. Te la dà chi più di tutti ha dovuto e deve tener conto di quest’aspetto dell'”operazione Loppiano”.

Ti dice: «Siamo partiti senza una lira, e senza una lira siamo andati avanti per un po’. Ricordo che l’architetto Nino Marabotto, quando nel ’63 gli dicemmo di prepararci un primo progetto di lottizzazione di tutto questo terreno, a Loppiano e a Campogiallo, era piuttosto pensoso. Gli architetti, si sa, sono sempre pensosi, specialmente quando si tratta di progetti tanto vasti. Ma lui, Marabotto, lo divenne ancor più quando aggiungemmo che bisognava farlo molto alle svelte, quel progetto, dobbiamo avere al più presto l’approvazione dal comune d’Incisa – gli spiegammo, in omaggio alla regola che meno tempo s’impiega nel far le cose, meno grane ti capitano addosso -. “Ecco, tu, entro una settimana, ci consegni tutta la lottizzazione di massima, con l’ubicazione sia del primo college e annessi e connessi riguardanti la scuola nella zona di Loppiano, sia della parte industriale della città futura nella zona di Campogiallo. Di tutto, insomma…”.

Nino Marabotto fece i salti mortali, ma alla fine della settimana noi avevamo in mano il progetto generale. Di soldi, invece, ancora neppur l’odore. Andammo in comune, e anche lì insistemmo sul tasto dell’urgenza. E’ notorio quel che succede di solito coi comuni, soprattutto quando non vi si conosce nessuno che si presti a una spintarella. In meno di tre o quattro mesi, approvazioni di questo genere, nemmeno sognarsele! E invece no. Nel giro di dieci giorni il decreto fu bell’e pronto.

Noi, nel frattempo, eravamo sempre senza una lira… Eppure non ci preoccupavamo affatto di questo. Ci dicevamo: “Se quest’opera è da Dio, Dio ci manderà i soldi. Sicurissimamente. […]”. E andammo avanti così, ancora a mani vuote, ma con l’anima colma della ricchezza di questa fede assoluta nella provvidenza.

Dopo il progetto di massima presentammo i progetti particolari: dapprima quello del college (perché era di lì che volevamo dare l’avvio alla città) e quelli delle prime casette adiacenti, e poi gli altri via via di seguito. Verso febbraio o marzo del ’64 cominciarono a giungerci le approvazioni anche di questi progetti. E noi eravamo ancora all’asciutto.

Fu press’a poco in quell’epoca che venne da me una persona. Era un momento un po’ difficile, perché, in considerazione della magra realtà dei fatti, andavano manifestandosi da qualche parte delle perplessità sulla nostra iniziativa. Bene, quella persona mi dice che è tanto presa dallo spirito del Movimento dei Focolari, che è entusiasta dei nostri progetti per Loppiano, e che, siccome fra poco si sposerà, e una volta sposato non potrà più disporre dei suoi beni personali, intende donarli subito, in una certa forma, per la realizzazione di quest’opera.

Un discorso, questo, il più illogico possibile al vaglio della logica umana […]. Io rimasi colpitissimo da quel ragionamento, tanto che mi dissi: “Qui, c’è la mano di Dio!”.

In breve, offerse, in una data forma, i suoi denari. E con questi e con gli altri, che, affluendo in breve tempo da varie parti d’Europa e dall’Italia, portarono la cifra iniziale a centocinquanta milioni – noi non chiedemmo soldi a nessuno, furono le più varie persone a mettersi in moto per cercar di trovarli, e persone anche non proprio legate al Movimento – potemmo cosi incominciare i lavori.

Ricordo che a una nostra “giornata” a Firenze parlammo pubblicamente dei progetti di Loppiano e […] raccontammo a che quota, partiti da zero, in poco tempo eravamo arrivati. Sennonché, a questa “rivelazione”, alcune delle ditte costruttrici del college si presero un grosso spavento […]. Allora arrivammo a un accordo con una di esse: di costruire intanto una terza parte del college. E così avvenne. Intanto, però, con l’arrivo di altri soldi, noi potemmo acquistare le prime casette prefabbricate; e fu allora che […] i tecnici stessi ci proposero di costruire anche la seconda parte del college.

Nel frattempo… […] varie conferenze episcopali si prestarono, all’estero, per fornirci i mezzi necessari a costruire. E, con esse, specialmente l’opera di padre Werenfried Van Straaten in alcuni Paesi dell’Europa centrale. Per quanto riguarda l’Italia, l’aiuto ci è venuto soprattutto dai laici, da persone amiche del Movimento o semplicemente amiche di questa sua iniziativa. E la cosa bella è che noi non abbiamo chiesto nulla agli industriali né ad alcuno delle classi abbienti… [i soldi] ce li hanno offerti le persone modeste, che magari hanno dato tutto il loro.

Ecco, è tutto qui il segreto delle costruzioni di Loppiano. E’ la pioggia della provvidenza, che arriva e sempre nella giusta misura…».

 da S.C. LORIT, Loppiano – una città nuova, Città Nuova 1967

 

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