Aitor, teoria e pratica della vita in comune

12 Feb 2021 | Vita

Aitor è un sacerdote focolarino arrivato a Loppiano due anni e mezzo fa dalla Spagna. Vive nella canonica di San Vito, con altri due preti, un italiano e un portoghese, studia Ontologia Trinitaria presso l’Istituto Universitario Sophia e sta scrivendo la sua tesi di dottorato sulla vita in comune del clero diocesano, tra teoria e pratica…

Aitor de la Morena viene dalla Spagna, da un paese chiamato El Molar, a circa 40 chilometri da Madrid, «la diocesi più grande della Spagna, siamo 1000 preti lì», dichiara con orgoglio. Aitor, frequenta Loppiano dal 2010: incontri estivi, una scuoletta, l’esperienza di un anno alla scuola sacerdotale Vinea Mea e, poi, la decisione di rimanere ancora, per il dottorato in Ontologia Trinitaria a Sophia, con Piero Coda. «Sulla vita comune del clero diocesano – e aggiunge, scherzando – come dicono i miei amici, qui a Loppiano facciamo teoria e pratica insieme!».

Aitor racconta che ha conosciuto la spiritualità dei Focolari mentre si trovava ancora in seminario a Madrid. «Avevo già notato qualche segno… che Dio mi chiamava a conoscere di più. Per esempio, quando Chiara Lubich è partita per il Cielo, ho sentito come se fosse morta un’amica. Una cosa molto strana, no?». Anche navigando sul web, Aitor cerca i Focolari, sente delle consonanze con la sua anima ma qualcosa dentro di lui resiste. «Vedevo che era fatto per me ma mi ribellavo: io non voglio un movimento. Non capivo l’esperienza dei movimenti, l’avere un fondatore… tutte queste cose».

Poi, un giorno, mentre ancora è in seminario, viene incaricato di organizzare la giornata di preghiera per le vocazioni, con diversi gruppi della diocesi. All’ultimo momento il seminarista che doveva seguire i focolarini chiama per dire che non ce la fa ad arrivare in tempo: «Allora, ho dovuto occuparmene io. Così, ho accolto il focolare di Madrid e altri della comunità. E ho visto che Qualcuno, con la “Q” maiuscola, aveva preparato la cosa: io che dovevo accogliere mi sono sentito così accolto!». Seguendo la voce che sentiva e che lo invitava a conoscere di più il focolare, Aitor comincia a partecipare agli incontri. «Sono diventato un gens (NDR: i giovani dei Focolari chiamati al sacerdozio) e sono venuto a Loppiano per una scuoletta. Insomma, mi sono affacciato e sono stato tirato dentro!» scherza ancora. Aitor ora è un sacerdote focolarino cioè, appena ordinato, ha chiesto di continuare la sua vita di sacerdote diocesano nel focolare sacerdotale, facendo vita in comune con altri preti come lui.

Dopo alcuni anni come responsabile di un seminario minore, due anni e mezzo fa, ha chiesto al vescovo di venire in Italia, ancora a Loppiano, per fare la scuola sacerdotale alla Vinea Mea e, in seguito, il dottorato. «La Chiesa consiglia sempre di più ai sacerdoti la vita in comune. È per la nostra “sopravvivenza”, per evitare la solitudine ma per me non è solo questo…». Dalla teoria, passiamo alla pratica, appunto. Aitor vive in focolare nella canonica di San Vito, con il parroco, Giampietro Baldo, italiano, e Joseantonio Magalhaes, portoghese. «La nostra vita insieme è molto bella. Scorre con la naturalezza di una famiglia. Tra di noi non ci sono grandi differenze culturali, né per il cibo né per gli schemi mentali. Noi non dobbiamo superare quelle sfide culturali che in tanti si trovano a vivere qui a Loppiano. Ci sarebbe quella dell’età – io ho 36 anni, Giampietro 69, e José 58 – ma non la sentiamo: ognuno dà quello che è in età e esperienza. Lo dicono i maestri spirituali: la vita in comune o è un Paradiso o è un Inferno. Perché o tu vivi il Vangelo, o ti accorgi subito che non lo stai vivendo. Oltre a questo aiuto spirituale, condividere, vedere insieme le cose, aiuta».

Così, nel quotidiano di una cena, a tavola, don José condivide i suoi studi, don Giampietro i servizi per la parrocchia e la pastorale familiare della diocesi, don Aitor, il suo impegno con gli studenti della residenza universitaria per sacerdoti e seminaristi, che si trova proprio al primo piano della canonica di San Vito. «È far proprio quello dell’altro: tutto il mio è tuo, tutto il tuo è mio. Non solo i beni materiali ma tutta la nostra vita. Bisognerebbe, nel futuro, puntare sempre di più sulla vita in comune tra sacerdoti e non avere paura di chiederlo ai nostri vescovi. Giampietro ha sempre fatto così. Quindi, è possibile! Ma bisogna essere un po’ coraggiosi, perdere la propria comodità e insistere con il vescovo, fargli capire che è importante».

Di fatto però, quella di Aitor, Giampietro e José non è una semplice convivenza ma un focolare. Chi è il sacerdote focolarino?

«La risposta  – spiega Aitor – è in una lettera conservata alla Vinea Mea, scritta da Chiara Lubich nel 1986. In questo testo, lei ci spiega che guardandoci, Gesù Abbandonato dovrebbe dire: ecco la mia vigna. Ciascuno di noi è chiamato ad essere un Gesù Abbandonato vivo. Questa è la nostra vocazione. Che vuol dire: morire a se stessi, essere capaci di perdere Dio per Dio, per poi dare Dio agli altri. Ma non lo diamo noi, è Lui stesso che si dà. Poi, uno stile mariano, non essere clericali, essere sempre al servizio, un passo indietro, per così dire. E, come parte del focolare, tenere sempre viva la fiamma di Gesù in Mezzo a noi».

Un programma impegnativo, insomma.

Come ultima curiosità, ci chiediamo cosa sia Loppiano per Aitor, lui che fin da giovane seminarista, è un assiduo frequentatore della cittadella… La sua risposta: «Venire a Loppiano per due settimane è tutto luce, tutto Paradiso; venire per una scuola di formazione e rimanere un anno, è come stare sulle montagne russe; stare qui per più di un anno, ti permette di vedere le cose con più serenità e più realismo, vedi l’umano e il divino della cittadella. Io mi sento un costruttore, partecipo per farne una mariapoli permanente, mi sento co-responsabile di Loppiano. Sento che posso dare il mio contributo perché ce l’ho dentro, mi nasce spontaneo… E ciascuno dà il suo. Per me, è contribuire a creare questo spirito di famiglia che non è mai scontato».

 

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