Come se fosse l’ultimo giorno della mia vita

1 Mag 2021 | Vita

Al Primo Maggio di Loppiano Joseph Konah Koroma, della Sierra Leone, ha raccontato la sua storia. Joseph è stato un “bambino soldato”. Ora studia presso l’Istituto Universitario Sophia. Il suo sogno? Portare l’amore fra la sua gente.

 

Era un pomeriggio qualsiasi, nel 1998, a Makeni, una bella città nel centro della Sierra Leone, quando un gruppo di uomini armati fecero irruzione nella casa di Joseph, che, allora, aveva solo 6 anni. Arraffarono un po’ di soldi, qualcosa da mangiare, ma prima di uscire uno di loro si accorse di lui, lo guardò fisso negli occhi e… lo portò via con sé.

È così che Joseph si aggiunge all’esercito di quei “bambini soldato” che, secondo le ultime statistiche, ad oggi in tutto il mondo, sono ben 300.000.

Da otto anni infuriava una guerra civile in Sierra Leone, una guerra fatta di armi e diamanti. Ricordate il film “Diamanti di sangue”? Racconta proprio di quel periodo e di quella nazione. Ma torniamo a Joseph.

Lontano dalla famiglia, impara a vivere nella foresta, con i ribelli: «Quante atrocità ho visto in quegli anni! Case bruciate, assassinii a sangue freddo, mani tagliate… Tutte immagini che hanno scosso la mia mente bambina». Un giorno però…

«I civili – racconta Joseph in un buon italiano – erano obbligati a portarci da mangiare. Dopo ogni nostro spostamento venivano avvisati quelli dei paesi vicini. E un giorno, tra quei civili, c’era la mia mamma!». Come può una donna, celare l’emozione di ritrovare, dopo 5 anni, un figlio che già dava per morto? Eppure la mamma di Joseph ce l’ha fatta. Nessuno si è accorto della loro felicità. Hanno parlato in dialetto e rapidamente si sono messi d’accordo.

«Il mio capo, nel campo, aveva perso un figlio in guerra e aveva scelto me per sostituirlo. Ero a suo diretto servizio, ma godevo anche di qualche privilegio. Quindi quella sera, gli dissi che volevo andare a camminare e lui mi diede subito il permesso. Raggiunsi la mia mamma e insieme tornammo in città, dove l’esercito ufficiale aveva preso il controllo».

Nel 2002 finisce la guerra civile, ma il rancore e il desiderio di vendetta diffusi ormai in tutta la popolazione, non permettevano una pace reale.  

«Un giorno il Presidente prese una bambina alla quale avevano tagliato le mani e le chiese: “Se tu vedessi le persone che ti hanno tagliato le mani, cosa faresti?”. La bambina rispose: “Io devo perdonare i ribelli perché se noi non perdoniamo, la guerra non finirà mai”».

Si può immaginare questa scena mandata in onda a ripetizione su tutti i canali televisivi, ma Joseph sorride: «Non c’era la TV. Tutto questo è stato trasmesso per radio e diffuso capillarmente, per le vie delle città, attraverso delle macchine con gli altoparlanti. Grazie a queste parole nel nostro Paese è finita la guerra».

Joseph può finalmente andare a scuola, dove conosce dei sacerdoti italiani. «Ho scoperto una nuova vita. Ho conosciuto il Vangelo, e mi piaceva tanto partecipare a diversi incontri con altri bambini. E poi, imparavamo le canzoni del Gen Rosso e del Gen Verde, che ci hanno insegnato tante cose!».

Nel 2011, Joseph arriva a Montet, in Svizzera, nella cittadella dei Focolari, dove si ferma per un anno alla scuola di formazione per i giovani del Movimento. «È stato lì che ho sentito parlare di Sophia. E ho subito cominciato a sognare, ma c’erano troppe difficoltà!»

Finito il periodo in Svizzera, Joseph, tornato nel suo paese, si mette a studiare “Sviluppo della comunità” e religione. «Ho anche insegnato religione per due anni. Ma dentro di me, nel mio cuore, c’era sempre l’Istituto Universitario Sophia. Ho pregato tanto perché si realizzasse il mio sogno».

Nel 2019, Joseph è invitato all’Assemblea dei giovani del Movimento dei Focolari, come rappresentante della Sierra Leone. «In quell’occasione ho conosciuto anche un’altra realtà dell’Opera di Maria: il Movimento Diocesano. Per me è stato molto importante, perché ho imparato tante cose. Con Alfred, un altro giovane che era con me, siamo anche stati ad Ascoli Piceno, dove abbiamo potuto partecipare a diversi incontri con giovani, famiglie e sacerdoti. Arricchiti da questa esperienza di vita, siamo tornati nel nostro Paese dove abbiamo cercato di portare in parrocchia quello che avevamo imparato ad Ascoli. Intorno a noi si è formato un gruppo di ragazzi sensibili al Vangelo. Con loro abbiamo insegnato il catechismo ai bambini, e abbiamo aiutato il Parroco in occasione della preparazione al battesimo».

Poi è arrivata la pandemia. Le chiese erano chiuse e tutto il Paese era chiuso. «Insieme a questi ragazzi, abbiamo detto: “Se le chiese sono chiuse, noi non siamo chiusi all’amore” e abbiamo cominciato a fare qualcosa, a pulire la chiesa ogni settimana e a fare gli incontri in diverse parrocchie».

Ed ora, finalmente, Joseph è atterrato a Sophia. «La mia esperienza qui è molto bella. Sophia mi ha dato la possibilità di vivere la cultura dell’unità con persone di varie parti del mondo. In mezzo a tanta diversità ho cercato sempre di amare con tutto il cuore, come fosse l’ultimo giorno della mia vita. Sophia mi aiuta a prepararmi per il mio futuro, anzi, come dice il Papa, a preparare il futuro. Dopo i miei studi a Sophia, vorrei continuare a dare agli altri il dono che Dio mi ha fatto qui, e vivere sempre e comunicare a tanti l’amore di Dio».

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