Juan Pablo e Leticia, una passione per le cittadelle

29 Apr 2022 | Vita

Nel 2000 sono arrivati a Loppiano dall’Uruguay per poi proseguire per una delle Mariapoli permanenti in Africa. Ma sulle colline fiorentine hanno capito che non era necessario andare altrove. Qui sono nate tre figlie e la loro famiglia è diventata una presenza stabile e un punto di riferimento per tanti.

 

Formidabili, questi due! Quando tra Juan Pablo e Leticia sbocciano i primi sentimenti, cosa fanno? La fanciulla lascia Montevideo, capitale dell’Uruguay, per frequentare la Scuola gen di Loppiano e poi proseguire la formazione alla spiritualità dell’unità al Centro gen mondiale, sui Castelli Romani. Siamo nel 1993. E lui? Il ragazzo la incoraggia in questa scelta, forte del suo vissuto, perché nel 1987 era andato nella cittadella argentina di O’Higgins per due anni e poi nel 1990 aveva trascorso un anno nella cittadella di Montet. «Sono state esperienze profonde e importanti. Abbiamo conosciuto il carisma e il Movimento, compresi i primi compagni e compagne di Chiara. E ciascuno di noi è cresciuto nel rapporto con Dio».

Quando Leticia ritorna a Montevideo è desiderosa di capire cosa Dio pensi per lei. Entrambi vogliono avere Dio al primo posto. Prima, quell’Amore. Lui, intanto, con alcuni gen, ha dato vita, quale maestro artigiano del legno, ad una falegnameria. Il discernimento, anche con alcuni adulti, li porta a fidanzarsi. Si sposano nel 1997. Un anno dopo nasce Maria Clara, ma vive solo una settimana. Un dolore raggelante, ma sono certi che anche questo è amore di Dio.

Adesso che sono famiglia, si sentono spinti a dare una mano alle coppie. Così nel 1999 trascorrono quattro mesi alla Scuola per famiglie a Loppiano. Rientrano in Uruguay con una ricchezza ulteriore. Si sentono fortunati e grati. Hanno tutto per mettere radici e fruttificare nella loro terra. Ma la nuova luce ricevuta li interpella. Affiorano le parole di Chiara Lubich, ascoltate da giovani, sull’impegno dei gen per l’Africa. Inoltre, Juan Pablo ricorda di essere stato sulla collina che domina l’abbazia svizzera di Einsiedeln, da dove la Lubich intuì, guardando il monastero, il progetto delle cittadelle, con le ciminiere e le fabbriche. «Quella parola, “ciminiere”, l’ho impressa nella mente», dice. Dunque, si fa strada la prospettiva dell’Africa e la disponibilità a contribuire allo sviluppo di una cittadella. Ma restano aperti ai segni, alla Parola e alle parole. Accolgono un consiglio, quello di fare tappa a Loppiano prima di volare in Africa.

 

 

Giugno 2000, arrivo a Loppiano. «Non ci importava sapere quanto tempo saremmo rimasti e nemmeno se andare altrove. Certo, noi volevamo andare dai più poveri, non restare in Europa. Ma, prima, era importante capire cosa Dio volesse da noi in quel momento. E ci fu detto che qui c’erano già le mura, ma che avremmo potuto dare un altro tipo di apporto».

Sono nate tre figlie. Entrambi hanno lavorato all’Azur Legno. Lui faceva i prototipi dei nuovi prodotti, lei – pittrice e laureata all’Accademia di belle arti a Montevideo – disegnava e dipingeva le realizzazioni artigianali. Poi l’Azur Legno ha chiuso. Perso il lavoro e persa un po’ la fiducia. Periodo travagliato e ricerca di un lavoro esterno alla cittadella. Confidano i coniugi Màrmol: «Siamo esigenti con noi stessi come quando eravamo gen e lo siamo con gli altri. Siamo stati feriti e abbiamo ferito, perché la nostra cultura ci spinge a dire sempre, per onestà, quello che pensiamo». Le parole escono lentamente, soppesate.

Poi si guardano. Gli occhi lucidi. «Però non toglieremmo nulla di quello che abbiamo vissuto. Vogliamo continuare ad essere pietre vive nella cittadella, con le famiglie e con tutti. Abbiamo avuto da Dio il centuplo. Siamo innamorati di Lui e felici di correre dietro a Chiara. È una storia d’amore che prosegue».

 

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