Andrea Ferrari

05.10.1929 – 28.07.1960 – Focolarino
“E noi abbiamo creduto all’amore” (1 Gv.4,16)

È il primo focolarino partito per la Mariapoli Celeste. Apparteneva ad una famiglia cattolica di Milano; era iscritto alla facoltà di Legge e impiegato al Banco di Roma.

A 25 anni conosce il Movimento dei Focolari e dopo appena sei mesi entra in focolare. Di questo periodo scrive: “E quando Gesù volle, non un giorno prima, compresi, come se l’avessi sempre sentito, che la mia vocazione era la verginità nella carità.” E andò dritto all’essenza della santità: Dio, la volontà di Dio sempre. Questo lo scopriamo anche nelle numerose sue lettere e negli articoli pubblicati soprattutto nella rivista Città Nuova.

In uno, intitolato: “Non cambierei il mio posto per null’altro al mondo” scriveva:

“Ogni mattina quando mancano appena pochi minuti alle 8.30, marco il cartellino, entro nel palazzo degli uffici e incomincio la mia fatica quotidiana. Ma che strano lavoro è il mio: andare, venire, salire scale, attendere davanti a porte chiuse, ricevere e portare schede, e così da anni. Sembra un gioco di pazienza, ma so che ha per posta il Paradiso. L’ha promesso a chi avrebbe fatto la sua volontà! Se serberò la carità, nonostante i contrattempi, le osservazioni degli ispettori, le lettere da rifare tre volte, avrò fatto tutta la mia parte, perché sento che è proprio Gesù che mi ha messo qui… Sono un ragioniere e ti servo da ragioniere… Ecco la mia vita Signore, voglio farla diventare tutta amore.”

In un altro articolo confessava:

“Sul lavoro tante volte mi trovo scomodo: è l’ambiente tanto freddo e burocratico, i superiori a volte intrattabili, i colleghi senza legami comuni perché senza rapporti d’amore. Eppure anche Gesù sulla croce si sentiva scomodo, perché la croce non è una posizione naturale. Così anche per me il quotidiano ritornare nell’ambiente di lavoro ha un perché: “Non temete, sono Io”. Tante volte ho paura di non farcela a farmi santo; sento allora tutte le mie mancanze, il peso delle mie omissioni e quasi l’impotenza a fare le cose per amore. E anche questo è un accrescere la croce perché prendere su i peccati e i difetti degli altri è più facile che prendere su i propri, ma la parola di Gesù mi invita a non spaventarmi, perché così posso amare di amore puro.”

Aveva nell’anima la passione per l’ut omnes e tutto faceva ed offriva per la realizzazione della preghiera di Gesù:

“Mi sarebbe piaciuto di più evangelizzare l’Africa, partire per continenti lontani, portarti dovunque con la parola, ma adesso l’unica parola che posso dire è quella di comprensione per un collega avvilito, tutto preso dai suoi problemi. Sarebbe forse stato più facile, più glorioso, ma così ho imparato ad agire alla Tua scuola; non a fare di mio gusto, ma a servirti come Tu ti aspetti… Anch’io voglio essere un operaio di quest’Opera, e consumo ogni prova perché si realizzi la preghiera di Gesù”.

La morte per lui venne all’improvviso. E c’è quasi un presagio in un suo scritto:

“E adesso me ne vado… Ite, Missa est. La mia Messa è finita. La mia scrivania resterà vuota per un po’, poi verrà uno nuovo a prendere il mio posto. Come viene buio in fretta in questo inverno avanzato! Come viene sera presto in questa vita e rimane solo quanto abbiamo saputo amare”.

La mattina del 28 luglio del 1960, mentre si recava in lambretta alla chiesa, nel sorpassare un camion urtò contro la cabina, fu sbalzato a terra e travolto. Alcuni passanti lo sollevarono e lo portarono a braccia nel vicino ospedale.

Rivolto ad una suora le chiese. ”Dovrò proprio morire così da solo senza vedere nessuno?” La suora gli rispose che bisognava accettare la volontà di Dio. A queste parole Andrea si ravvivò, sorrise. ”Abbiamo imparato a riconoscerla sempre, come nostro Ideale, anche nelle piccole cose, anche nel rosso di un semaforo.” Subito dopo, dissanguato, finì di dire la sua Messa.

In tasca fu trovato il rosario e nel portafoglio un pezzetto di carta sdrucita su cui aveva scritto: “Sempre, subito, con gioia.”