Clelia De Chmielewski

16.05.1922 – 14.02.1974 – Volontaria
“Chi avrà perseverato fino alla fine questi sarà salvo” (Mt. 10,22)

Clelia aveva conosciuto l’Ideale a Trento, quando il Movimento era appena agli inizi. Lei stessa si presentava così:

”… A Trento, nel ’48, ero impiegata alle Poste. Mi sono sentita proporre da una collega (Giosi, una delle prime focolarine ) un ideale: il Vangelo del “vendere tutto “ per avere Dio e darlo come la più grande ricchezza , la più grande felicità; fino ad essere tutti il Vangelo realizzato. Non ero un collo torto, non ero nemmeno una praticante. Ero una ragazza di mondo. Avevo girovagato per alcuni anni in una compagnia di giovani dilettanti nel teatro; avevo prestato servizio volontario negli ultimi mesi della guerra, mi ero fatta per questo dei mesi di prigione. Ne ero uscita con il crollo totale…”

Da persona totalitaria e generosa quale era, trovata la giusta direzione, vi si buttò con tutte le sue forze.

Siccome aveva l’impressione di essere l’ultima, un fallimento, una peccatrice, lei si sentiva più sotto di chiunque avvicinasse, ci credeva veramente. E si poteva affidarle le persone dalle esperienze più ingarbugliate, perché con lei si sentivano bene, capite, non giudicate e si aprivano in quel che non avrebbero detto a nessuno.

Il suo chiodo era dare tutto, senza calcoli, sempre allo sbaraglio.

Ad un certo punto il Movimento le propose di occuparsi a tempo pieno della diffusione di Città Nuova e Clelia subito aderì alla richiesta, licenziandosi dalle Poste prematuramente e ricevendone così una pensione molto modesta. Nonostante questo trovava ancora del superfluo da donare ed era sempre la prima ad essere a disposizione per ogni necessità.

Ma il “dare tutto” lo seppe realizzare soprattutto al momento della prova e fu quando esplose un tumore: tre anni di operazioni, di cure dolorose, di distruzione lenta, finché le dissero che forse era poco il tempo che le restava. “Allora c’è da vivere bene il presente fino in fondo” disse e per ricordarselo desiderò da Chiara una consegna, una frase del Vangelo che le servisse da continua messa a fuoco. Chiara le fece avere la Parola di Vita: ”Chi avrà perseverato fino alla fine, questi sarà salvo”; la sua vita ebbe un salto di qualità.

Mentre il male avanzava e si sentiva insicura a guidare la macchina per il lavoro del giornale, scrisse:

“Mi sono fermata tre ore con Gesù in chiesa, dopo la messa. Prima ci stavo poco perché non riuscivo a stare ferma tanto tempo. Adesso non mi sembra vero di avere così poche forze per stare su un banco davanti a Lui.”

E venne il momento di doversi mettere a letto, ormai arrivata allo stremo delle forze.

“Tanti sono venuti a trovare Clelia – diceva di sé – e hanno trovato questo straccio. Ti puoi sentire come un verme, magari non sai più chi sei…unione con Dio!  Non sai nemmeno cosa fa l’anima, dov’è…Ma non conta nulla. Gesù ha detto che basta amare e questa è una cosa che posso fare!…Hai visto? Oggi mi hanno portato dei fiori bianchi, forse saranno per la festa della mia nascita.”

In un clima di reciproca carità per la presenza continua di alcune compagne d’Ideale, fu molto visibile il suo crescente concentrarsi su un unico punto, il crocifisso della sua stanza, finché poté tenere gli occhi aperti, come in un’intesa a due.

L’ultima mezz’ora, in piena lucidità, dicendo grazie a chi le aveva detto che non si poteva fare più nulla per aiutarla – “così so sopportare meglio” – si concentrò completamente ad amare Chi doveva incontrare.