Giacomo Mignani

19.12.1913 – 21.10.2004 – Volontario
“Tieni i tuoi occhi fissi sulle mie vie” (Prov. 23,26)

Come si raccontano 90 anni di vita? E come farlo quando poi è una vita così ricca e luminosa come quella del nostro Giacomo?  

Dovremmo dare voce a quanti l’hanno avuto vicino, sperimentando il suo amore discreto e caldo che lo faceva sentire ad un tempo fratello, padre e nonno con tutte le sfumature che l’amore acquista nelle diverse età della vita.

O a quanti l’hanno avuto a fianco, instancabile lavoratore fino all’ultimo giorno, nelle attività della Cooperativa e che hanno imparato ad apprezzare in lui quella carità sopraffina che – come commentava recentemente uno di loro – appariva la concretizzazione di quelle parole di San Paolo:

“E’ benigna la carità, non è invidiosa la carità, non si gonfia, non manca di rispetto, non cerca il suo interesse, non tiene conto del male ricevuto… “

Ma dovremmo ascoltare anche le migliaia di persone che, venendo a Loppiano e visitando la Cooperativa, non hanno potuto non restare toccati dall’incontro con lui. Come quel signore ateo che non voleva sentir parlare di nulla e che ascoltando la storia di Giacomo è scoppiato in un pianto liberatorio; o quella coppia in crisi che dopo averlo ascoltato gli ha scritto di aver voluto riconciliarsi.  E sono gruppi, famiglie, uomini politici, giornalisti, vescovi e soprattutto tanti e tanti giovani che lo sentivano vicino a loro, compagno di viaggio. 

Immaginiamo allora di unirci ad uno di questi gruppi, di appoggiarci ad una vecchia botte nella tavernetta di Tracolle, e di essere come sempre accolti da lui con un caldo sorriso e quel fare affettuoso e schivo insieme che fa sentire bene chiunque. E, dopo aver ascoltato un po’ di notizie sulla produzione del vino e dell’olio, immaginiamo di chiedergli come facevano tutti: ma Giacomo cosa ti ha portato dalle valli del Bergamasco a Loppiano? Rispondeva sempre Giacomo:

“La mia, è stata un’avventura. Quando mi sono sposato ero impreparato e non troppo giovane e dopo due mesi il mio matrimonio era già in crisi. Con Dina non litigavamo mai: non ci parlavamo e stavo anche due o tre mesi senza dirle nemmeno ciao. Io uscivo sempre col mio cane e lui era tutto per me. Ero cristiano solo la domenica, ma nel periodo della caccia per mesi non andavo a Messa”.

Sua moglie, intanto, aveva conosciuto delle persone che l’avevano abbonata al giornale Città Nuova e che nel 1964 l’avevano invitata ad una Mariapoli a Merano. Lei, che non voleva andare e che cercava tutte le scuse per rifiutare, certa di un suo rifiuto, chiese a Giacomo il permesso di andarci. Invece lui le rispose subito: ”Via! Almeno così per otto giorni non ti vedo”.  Dina tornò a casa la domenica seguente felice, ma Giacomo non volle ascoltare nulla. Racconta Giacomo:

“Il lunedì mattina faccio per andare al lavoro e, andando nella stanza del bambino per vestirmi, rimango meravigliato: trovo la camicia stirata bene, i pantaloni piegati, le scarpe pulite (che non l’aveva mai fatto!). Dopo quattro giorni mio figlio mi dice che la mamma va a Messa e riceve l’Eucaristia. Io resto sempre in silenzio. Lei, che prima non vedeva volentieri il mio cane in cucina, comincia a portarlo lì, gli dà da mangiare. Da agosto a dicembre continua tutto sempre così. 

Un giorno mi dice che le persone che aveva conosciuto in Mariapoli l’hanno invitata otto giorni a Roma. Lo dice con la delicatezza di un bambino… Io penso: è tornata da Merano brava; adesso va a Roma e diventa una santa e il beneficio è mio”.

Prima di partire, però, Dina gli comunica con delicatezza che la domenica seguente, mentre lei era ancora a Roma, ci sarebbe stato un incontro a Milano e che il pullman sarebbe passato proprio sotto casa loro. Continua Giacomo:

“Decisi di andare per capire cosa avevano fatto a mia moglie. Arriva il pullman, faccio i primi due gradini e vedo dentro uomini e giovani che parlano, scherzano e suonano una chitarra mezza scordata… Questi qui fanno solo baccano, mi dico, e faccio per tornare indietro.  Mentre sono sull’ultimo gradino uno mi prende per il braccio e mi tira sù. Arriviamo a Milano e sento parlare un giovane. La terza frase che dice è che Dio è Amore.  Non avevo mai sentito parlare di Dio Amore ma di un Dio che puniva sempre! E ho pensato dentro di me: Ma va a farti benedire!  Però volevo capire bene… Poi comincia un altro più anziano, molto ammalato e mi parla di Dio Amore in modo più forte ancora. Io mi concentro sempre di più e penso: allora Gesù non è poi così cattivo. Lui mi ama, mi dà una mano. Ad un certo punto ho visto come il video della mia vita: io a mia moglie non volevo bene, la maltrattavo, e la colpa era mia. Non erano gli sbagli di mia moglie, erano i miei.  

Così il nodo che sentivo si è sciolto come neve al sole e mi è entrato un desiderio di vedere mia moglie così forte che mi pareva un’eternità aspettare fino al giorno dopo.

La notte non ho dormito. La mattina al lavoro guardavo l’orologio per vedere quando andare a casa. A mezzogiorno ho preso la bicicletta e, avendo fatto il bersagliere, ho fatto una volata ad andare a casa. Arrivo, metto la bicicletta in giardino, vado alla porta e mia moglie la apre. L’ho baciata  e così, dopo diciotto anni, è cominciato il mio matrimonio”.

Nella loro casa, prima sempre chiusa, vengono spalancate porte e finestre e Giacomo è sempre pronto anche a correre per aiutare chi ne avesse bisogno, guardando i bambini, impegnandosi in tanti lavoretti…

Nel 1976 Giacomo e Dina vengono a Loppiano per rispondere ad un invito che Giacomo esprimeva sempre con la frase: “Giacomo, vuoi venire a costruire la città di Maria?”.  Questo trasferimento era la logica conseguenza del loro aver voluto mettere Dio al primo posto e di mettersi a disposizione degli altri.

Vivono questa nuova tappa come un momento di grazie. Commentava sempre Giacomo:

“Io e mia moglie abbiamo avuto tre grazie. La prima che sia io che lei abbiamo scoperto che Dio è Amore; la seconda che abbiamo salvato il nostro matrimonio; e la terza di essere a Loppiano”.

Aggiungeva poi:

“Una grazia più grande sono stati i quattro anni di malattia di Dina. Sono riuscito a servirla sempre, lei era sempre contenta anche se alla fine era quasi cieca. Tra me e lei non c’era più un parlare umano ma soprannaturale. Non è che io adesso non pianga quando vado al cimitero: piango ancora! Però poi ad un certo punto pare che mi dica: Ma Giacomo cosa fai qua? Va’ che vengo anch’io! Torno a casa, faccio tutte le mie cose e me la sento sempre al mio fianco”.

Nei 13 anni che sono seguiti Giacomo ha continuato con slancio a servire tutti, reso forte dalla sua fede cristallina e dalla forza dell’unità con i volontari e con tutti della cittadella. A due bambine che gli chiedevano come vivesse, aveva risposto:

“Io da solo non riesco a stare in piedi: ho una forte unità con tutti e questo mi aiuta”.  

Sempre più spontaneamente, al termine di ogni incontro, spesso esclama: “Non si può partire così. Qui dobbiamo fare un un patto di unità. Ricordarci reciprocamente”.

Il suo amore si affinava sempre di più. Raccontava:

“Da un po’ di tempo al mattino ho paura ad uscire di casa perché non so come saluto le persone. Voglio dare un saluto forte, vero e se li saluto male, sto male. Allora prima di uscire di casa mi fermo sulla porta e dico: Io non voglio uscire di qua il venerdì santo, voglio uscire il giorno di Pasqua. Dico una preghiera e con quella cosa nell’anima sono felice, felicissimo.  Alla sera quando torno a casa sono un po’ stanco, ma dentro ho una pace, una gioia, una serenità impagabili”.

Stando con lui ci si sentiva invadere da una pace profonda che nasceva dalla sua fede. Sempre più frequenti le espressioni: “Gesù lo sa, ci penserà Lui”, “Voglio andare da Gesù!” 

Il 21 ottobre, anniversario della partenza di Dina, Dio lo ha preso con Sè. La ha fatto con delicatezza, nel sonno, come un Padre che accoglie tra le sue braccia il figlio amato.  

“Tieni i tuoi occhi fissi alle mie vie” era la Parola di Vita che Chiara gli aveva dato. E si può dire veramente che il suo sguardo, in ogni attimo, è stato così.