Lunedì 19 ottobre 2020, ci ha lasciati Giuseppe Ruggeri, conosciuto come “Serdio”, focolarino falegname, artista dell’arte di amare. Qualche flash della sua vita avventurosa.

 

Giuseppe era originario di Ghiare di Berceto, in provincia di Parma, e prima di arrivare a Loppiano, aveva vissuto anche in Camerun, Kenya, Pakistan, Uganda… Infine, a Montet, nella cittadella dei Focolari in Svizzera, dalla quale aveva raggiunto Loppiano, nel 2015. Qui, viveva nel focolare chiamato Nuova Unità, assieme ad altri focolarini anziani, e qui, nel marzo del 2020, aveva festeggiato i suoi 80 anni.

La giovinezza

Parlando della sua giovinezza, Giuseppe ricordava di aver vissuto come tra due fuochi. Da una parte, la religiosità semplice assimilata in famiglia (che tanto ha amato) e, dall’altra, l’anticlericalismo tipico degli ambienti operai di una volta, in particolare, dell’Emilia Romagna. «L’attrattiva per Dio è rimasta sempre predominante in me, anche se non frequentavo troppo la chiesa, anzi ne sono stato lontano» raccontava.
Dopo alcuni anni di apprendistato in una falegnameria, Giuseppe era partito per il servizio militare, si era fidanzato, ed infine, si era trasferito a Parma, per lavorare come falegname alla ditta Salvarani.

L’incontro con i Focolari

Verso la metà del 1964, la sorella Lucia, gli passò un libro intitolato “Tre focolarini” scritto da un certo Igino Giordani, che narrava le vicende di tre laici che aspirarono alla santità, provenendo da tre settori diversi: un impiegato, un deputato e un operaio. Raccontava, a tal proposito, Giuseppe: «Lo lessi tutto d’un fiato e rimasi molto stupito dal fatto che potessero esserci persone che vivevano il Vangelo in maniera così radicale. Subito cercai i focolarini di Parma e il primo che conobbi fu Guglielmo Curti. Andavo spesso a trovarli e ogni mattina, per andare al lavoro, passavo davanti al focolare: la loro vita mi attraeva».
Nel 1965, partecipò alla sua prima Mariapoli a Merano, dove visse un’intensa esperienza di fraternità, che lo segnò profondamente, come un marchio di fuoco. Poi, visitò la neonata Loppiano: «Lì, vidi la vita dei focolarini della scuola, e sentii che ero chiamato ad essere santo. Il focolare, con tutto ciò che esso significava, mi attraeva fortemente, ma ero un operaio, non mi sentivo all’altezza, non mi sentivo degno di questa grande chiamata. Dopo una lunga riflessione, nell’autunno del 1966, decisi di andare a Loppiano per la scuola dei focolarini».
Alla scuola con lui c’erano altri giovani coetanei affascinati da quella vocazione: Valerio Lode Ciprì, Santino Zacchetti, Rod Gorton, Mario De Siati, Tanino Minuta, Mario Ciabattini. Fu un’esperienza forte: «Più i giorni passavano, più mi sentivo al settimo cielo, quasi trasportato in un’altra realtà».

Destinazione Africa

Al termine della scuola, gli fu proposto di andare in Camerun, dove stava nascendo la cittadella di Fontem, un villaggio nella divisione Lebialem, nella regione sud-occidentale del Camerun: il contributo di un esperto falegname sarebbe stato prezioso per la nascente mariapoli africana.
Il distacco dai suoi non fu indolore, c’era poi da fare non solo il salto geografico, ma anche quello culturale: lui, l’Africa, fino ad allora, l’aveva vista solo in televisione. «Era l’8 dicembre del 1968, sono partito da solo, a mezzanotte, era la prima volta che mettevo piede su un aereo, ero preoccupato per ciò che mi sarebbe capitato, non sapevo una parola d’inglese né di francese; per un disguido a Douala dovetti passare la notte alla Procura, poi un viaggio di 450 km in Land Rover su una strada pressoché impraticabile negli ultimi 50 chilometri. Finalmente l’arrivo a Fontem! Lì, mi hanno accolto con una tale festa che ogni paura mi è passata e mi sono sentito a casa. Ma dov’era il villaggio che avevo immaginato? Le capanne erano disperse fra gli alberi… c’era tutto da costruire. Al lavoro dunque!».
Fondamentale, l’anno dopo, fu la visita di Chiara Lubich a Fontem: «Poco dopo il mio arrivo, nel gennaio del 1969, Chiara venne a Fontem e mise a fuoco la nostra missione lì: non solo risolvere il problema sociale (anche se lì, per essere credibili, occorreva costruire ospedali, case, metterci insomma al servizio) ma occorreva offrire una testimonianza di Dio. Ci parlò anche di Maria, di cui avvertiva fortemente la presenza nella cittadella nascente. E prevedeva che molti, un giorno, sarebbero giunti da tutta l’Africa per imparare questa vita nuova di amore scambievole».
Giuseppe, in quegli stessi giorni, scrive a Chiara, condividendo i suoi pensieri più profondi: «Volevo ringraziarti di tutti questi giorni passati con noi qui, in Africa, che sono stati sempre un crescendo di Gesù in mezzo. Chiara carissima, volevo dirti che prima di parlarti avevo un poco di timore; ora no: dal nostro colloquio ti sento mamma. Oggi, per me è un giorno memorabile, ho avuto il nome nuovo e la Parola di vita. Che gioia! Tutta la Messa è stata una crescente unione con Gesù e a Lui, come dono per il tuo compleanno, ho chiesto di offrire tutto me stesso perché tutti noi ci facessimo santi».

“Serdio”, servo di Dio

La Parola di Vita che Chiara aveva scelto per lui, così creativo e concreto, era tratta dal libro della Genesi: “Riempite la terra e assoggettatela” (Gen 1,28). E il suo nome nuovo sarebbe stato: Serdio, che significava “servo di Dio”. Giuseppe-Serdio lo accolse con una promessa: «Ti prometto – scrisse ancora a Chiara –  che voglio essere quel nulla, per potermi fare santo: l’ho chiesto a Gesù durante la Messa e mi sono consacrato a Lui per tutta la vita».
Una promessa impegnativa, che conobbe molte sfide, come quella, ad esempio, dell’inculturazione. «C’è sempre il rischio – raccontava – di far prevalere il mio punto di vista con gli operai della falegnameria; se mi sforzo di ascoltarli, invece di sollecitarli a quello che era il mio modo di lavorare, a sera il lavoro è immancabilmente finito e tutti siamo soddisfatti. Diversamente, il lavoro si inceppa e i rapporti ne soffrono. Dalla falegnameria, dove passava tanta gente, posso dire di aver costatato come il Vangelo che abbiamo cercato di testimoniare (anche con un mobile fatto bene) abbia attecchito nel popolo bangwa senza snaturarlo, anzi, esaltandone i valori che già possedeva».

Amici

Tra le persone con cui Serdio aveva legato e condiviso di più in terra di missione ci sono Marilen Holzhauser, una delle prime compagne di Chiara, e Piero Pasolini, focolarino e fisico romagnolo.
Ricordava Serdio: «Marilen sapeva amare col cuore, per me era come una sorella». Di lei scrive anche in una lettera a Chiara Lubich: «Un giorno, Marilen mi ha dato un crocifisso e mi ha detto: “questo è un regalo della mia mamma a cui tengo molto, ma voglio dartelo perché ne avrai bisogno”. Ed è stato così».
Con Piero Pasolini, condividono la passione del costruire, la creatività… e non solo: «Abbiamo realizzato tante cose insieme, mi sentivo libero di dirgli tutto, ed anche lui lo era con me. Una volta, mi è sfuggito un giudizio su una persona, e lui mi ha fatto capire senza mezzi termini che il giudicare è la peggior cosa che si possa fare… Avrei voluto dissolvermi, ma quelle parole non le ho più dimenticate».

Giuseppe Ruggeri a Loppiano

Altre terre

Nella sua vita sono stati tanti gli aerei sui quali Serdio è salito: dopo il Camerun e Fontem, c’è stato il Kenya con Nairobi dove arriva per costruire la nuova cittadella dedicata proprio al suo amico Piero Pasolini, morto nel 1981, e per dar vita a una nuova falegnameria. Nel 1985, scrive a Chiara Lubich il suo dolore nel lasciare Fontem e le racconta ciò che sta facendo in quel momento in Italia: cercare fondi per acquistare macchine per la falegnameria della Mariapoli Piero. Occasione che lui sfrutta per donare l’Ideale, mentre aveva già riempito due containers con più di 40 macchine. Chiara gli risponde, ringraziandolo: «Dall’amore a Gesù Abbandonato e ai fratelli non può che sgorgare vita e dare testimonianza!».
Tappe successive del suo “santo viaggio” sono state Rawalpindi in Pakistan e Kampala, in Uganda.

Montet e Loppiano

Nel frattempo, sono arrivati problemi di salute e, dopo alcuni anni passati in Svizzera a Montet, dal 2015, ha vissuto a Loppiano, nel focolare Nuova Unità, dove Dio l’ha preparato, giorno dopo giorno, all’incontro con Lui; e ci è arrivato pronto, con la lucerna accesa dell’unico vero amore della sua vita. Nel novembre del 1998, la rivista Città Nuova ha pubblicato brani della sua storia e un’intervista (a firma di Oreste Paliotti) dal titolo “Serdio, falegname in Africa”.