Vincenzo Quartini

03.10.1929 – 10.01.2001 – Focolarino sposato
“Aspirate alle cose di lassù, non a quelle della terra”. (Cfr Col 3, 2-3)

Vorremmo ricordare Vincenzo lasciando parlare soprattutto lui.  Sarà come sfogliare il “Diario di bordo” di un capitano che ha tanto navigato e che è arrivato alla meta.  Una meta che già da quaggiù vedeva all’orizzonte, come confidava anche pochi giorni primadi lasciarci:

“Per me ormai di qua o di là è la stessa cosa e poi di là è più bello ancora!  Su questa terra ho fatto già tanto purgatorio”. E concludeva, col suo fresco umorismo: “Quando andrò di là voglio scoprire i fondali marini: farò il subacqueo”.

Vincenzo era nato a Genova nel 1929 “in un bellissimo e piccolo paese della riviera ligure”. La sua è un’infanzia felice e agiata, ma la guerra cancella tutto e rende la sua famiglia molto povera.  “Ero vivace e ribelle, con un carattere indocile, contro tutti, ma con  inclinazioni allo spirito”.

Finita la guerra Vincenzo si imbarca e lavora come mozzo nella marina mercantile.  Ha 19 anni e la vita in mare è “dura a volte ai limiti della sopportazione”.  A soli 28 anni, cosa un po’ eccezionale, viene nominato comandante.  Di quegli anni, ricorda: “ricalcavo lo stereotipo del marinaio: vita senza regole e frequentazioni di basso profilo. Non avvertivo problemi di fede religiosa. Se Dio esiste probabilmente ha creato l’universo che mi affascina e la vita che amo… poi è rimasto a guardare”.

Intanto aveva conosciuto Angela che lo colpisce come “un’immagine di purezza di cui non supponevo neppure l’esistenza. Il suo amore mette ordine nella mia vita”.“Dal nostro matrimonio nascono tre figli. La vita sul mare già dura diventa quasi insopportabile: cerco con affanno un lavoro a terra, senza esito”.

In un avventuroso e rischioso viaggio sul Rio delle Amazzoni, la spinta alla solidarietà e l’amore per la giustizia portarono Vincenzo a mettere a disposizione la sua grande nave, col consenso della Società, per il trasporto dei materiali di costruzione di un ospedale che stavano costruendo lì dei missionari.

Arriva poi la possibilità di un lavoro a terra, vicino alla famiglia.  Ed è proprio in quel periodo, nel 1966, che, invitato ad un incontro, sente parlare dell’Ideale dell’unità.

“Non so con esattezza quello che è stato detto. So solo che alla fine era nata in me una certezza: il Dio che avevo pensato possibile creatore dell’universo e della vita è il Dio Amore rimasto fra gli uomini e che chiede agli uomini di rendere sperimentabile la sua presenza. Anche mia moglie condivise questa scoperta”.

“Cercammo di scoprire qualcosa di più e frequentammo quelle persone rimanendo colpiti dal loro impegno a tradurre in pratica di vita quotidiana quanto credevano”.“Dentro di me restava però sempre un grande interrogativo: perché tanto dolore? che senso ha il dolore?”.

La risposta arriva in un modo impensato, con l’annuncio della malattia della sua prima figlia, Gilda, che conosciamo col nome di Cielo. Due anni di cure dolorosissime fino alla sua partenza per il Paradiso a soli 16 anni che le faranno fare una corsa accelerata, come sottolinea Vincenzo:

“In questi due anni compie un’ascesa che la porta ad un susseguirsi di suoi sì alle situazioni più devastanti. Non le viene risparmiato nulla.. Non è possibile pensare che quelle prove siano state superate senza un aiuto particolare del Cielo e dalla presenza intorno a noi dell’intera comunità dei focolari che condivide con noi ogni cosa.  Nostra figlia diventa amore puro, quell’amore che non chiede nulla in cambio. Chi riesce a seguirla in questo cammino può avvicinarsi, per quanto possibile, alla comprensione di un Dio che grida l’abbandono sulla croce, muore e risorge. Dio è Amore anche nella morte? Quella ragazzina dice di sì. Nel suo diario: – Dio mi ha certamente amata quando mi ha dato la vita, inserito in una famiglia prospera, circondata di affetto. Ma  mi ha amata di più quando mi ha inserito nella sofferenza. – Ed  ancora: – Il dolore amato è il canale della felicità -.”

Chiara gli scrive:

“Carissimo Vincenzo, ho ricevuto le pagine preziose su Cielo. Le ho scorse con le focolarine che abitano con me e ti assicuro, particolarmente in alcuni punti non abbiamo potuto trattenere la commozione, tale era il lavoro di Dio e la corrispondenza in quell’anima (…) Sono felicissima che ora Cielo sia nella città tutta spirituale di Loppiano: è la ‘prima pietra’ del Movimento Gen. Lasciami ancora dire, Vincenzo, che ho una grande ammirazione di Gesù in te. Non perdere occasione (ogni croce che ti si presenta) per salire verso la santità…”.

Di occasioni da non perdere per ripetere il suo sì al dolore da amare se ne sono ripetute tante negli anni a seguire: difficoltà al lavoro dove era diventato Dirigente, un incidente in montagna del figlio Antonio dato per disperso e poi miracolosamente ritrovato in un canalone e salvato, malattie in famiglia… fino all’attacco cardiaco che lo colpì dopo sei mesi di lavoro intensissimo e complesso per risolvere i problemi della  Società per cui lavorava durante la Guerra del Golfo.

Tutto è per lui occasione per aumentare la confidenza nell’Amore di Dio.

“Io non ho difficoltà di sentirmi figlio di Dio – sottolineava qualche anno fa parlando di un momento particolarmente difficile – Il mondo che ho girato in lungo e in largo, dopo l’incontro con l’Ideale lo vedo come il giardino di mio Padre, dove mi muovo liberamente, come un figlio. Ma la preghiera di un figlio può avere diverse intonazioni e io dovevo chiedere a Lui una cosa grande. Il primo passo era riconoscermi nella verità per quello che sono: un figlio che ha bisogno di una grande misericordia. Poi imparare a sentire ben chiaro che stavo rivolgendomi sì all’Onnipotente, ma che era mio Padre: quindi non c’era nessuna difficoltà!”.

Molto importante era per Vincenzo la vita di comunione con i suoi compagni di focolare. Sin dal ‘75, infatti, Vincenzo era entrato a far parte del focolare di Genova, come focolarino sposato. Ricorda un focolarino che ha vissuto molti anni con lui:

“Raccontava sempre esperienze straordinarie e alla fine concludeva: Tutto questo è avvenuto solo perché faccio parte di un focolare.”   

Dal 1995 con Angela si era trasferito qui a Loppiano dove hanno voluto che la loro casa fosse aperta sempre per tutti, in particolare per accogliere le gen 3, le ragazze del Movimento, che si fermano qui per brevi periodi:

“In una parte della casa che abbiamo costruito viviamo Angela ed io.  Oltre ai nostri letti ve ne sono altri 23 che si riempiono nei giorni delle scuole gen. Abbiamo lasciato 2 figli e 7 nipoti: abbiamo trovato decine di figli e centinaia di nipoti. E il legame con i nostri figli e nipoti naturali si è rafforzato. Dio Amore non si fa vincere in generosità”.

Recentemente, in una sua lettera, è ancora Chiara ad indicare a Vincenzo la rotta da seguire:

“… Grazie per ciò che mi dici, Vincenzo, e per quanto offri per il Regno di Dio. Andiamo avanti insieme nel Santo Viaggio, certi che ogni sofferenza è uno scalino che ci porta avanti nell’unione con Lui”.

E scalino dopo scalino, ci pare di poter dire che Vincenzo abbia raggiunto la meta, realizzando quella frase della Scrittura che Chiara gli aveva dato come Parola di Vita: “Guardate alla cose di lassù, non a quelle della terra” (Cfr Col 3, 2-3).